IL FONDO DAVID BASTIANONI

Se è vero, come affermò l’antropologo Paolo Chiozzi, che “la fotografia ci svela anche (e forse soprattutto) gli atteggiamenti, le idee di colui che sta dietro l’obiettivo e la sua percezione dei soggetti fotografati”, risultano evidenti il patos e la partecipazione verso il suo paese e i suoi abitanti sottesi ai quasi 33.000 scatti che costituiscono il Fondo David Bastianoni.

Tale fondo attualmente collocato presso la Fondazione Teatro del Popolo di Castelfiorentino, oggi catalogato, digitalizzato e consultabile, tramite dotazione informatica, rappresenta uno dei tasselli più importanti per la ricostruzione della memoria di Castelfiorentino alla metà del XX secolo, materiale prezioso per chi vuole studiare la storia, la società, la cultura valdelsana.

Il Fondo come lo conosciamo oggi non esisterebbe senza il complesso e certosino lavoro – un vero e proprio progetto – del figlio di David, Roberto, anch’egli fotografo ma di professione, il quale, quando decise che l’opera del padre doveva essere fatta conoscere e soprattutto valorizzata, si trovò davanti migliaia e migliaia di negativi, di celluloide e di gelatina animale, avvolti in grandi bobine da 75 a 150 metri, conservate per più di 50 anni in scatole metalliche. Come Roberto raccontò nell’introduzione al primo dei due volumi Castelfiorentino David Bastianoni. Un racconto per immagini (pubblicati in occasione delle due mostre delle fotografie, che si tennero presso il Ridotto del Teatro del Popolo nel 2001 e nel 2002) si trattava di un materiale estremamente fragile e delicato da maneggiare, che fu necessario anzitutto umidificare in apposite camere; poi fu ricostruita, con grande difficoltà, la cronologia dei negativi che furono inseriti a gruppi di 6 in apposite tasche a loro volta raccolte in grandi album. Successivamente furono stampati tutti i negativi in formato cartolina per visionarne il contenuto, i cosiddetti “provini”, anche essi conservati presso la sede del Fondo. Bastianoni «forse proprio perché non era un professionista, non andava a cercare l'avvenimento (alla Cartier-Bresson per intenderci), ma da Castellano viveva il suo tempo, posava l'occhio della sua Leica sul paesaggio, sul fiume, sul paese, sugli avvenimenti, ma soprattutto sui suoi concittadini, sul loro lavoro, sulla loro vita, con grande sensibilità, amore comprensione, affetto», come scrisse Paolo Regini nella presentazione del primo dei due volumi Castelfiorentino David Bastianoni. Un racconto per immagini.

Un concetto ribadito da Francesco Guccini: «Quello che mi colpisce di più sono i visi, le pose, frutto chiaramente di altra epoca ... e i vestiti indossati, chiaramente casalinghi o opera di un sarto paesano, e sono i nostri veri attori, quando non vestono un malconcio abito da lavoro, indomenicati di umile eleganza».

Gianfranco Arciero, docente di storia e tecniche della fotografia presso l’Università di Roma Tre e di Giornalismo fotografico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma, scrisse: «Quando ebbi i due volumi tra le mani pensai si trattasse di un fotografo dell’Istituto Luce. Ma fui avvertito che si trattava di un ‘dilettante’ (ironia delle parole!) ... David non ha soltanto attestato con sensibilità e fedeltà la memoria storica del paese ma ha fornito allo studioso di oggi e allo studioso a venire il significato autentico di precisi momenti e significativi passaggi della nostra società ... Reporter, ritrattista, paesaggista, David sfugge a ogni classificazione di genere».

Quei due volumi ottennero il primo premio della sezione fotografia storica e il secondo assoluto al «Premio Orvieto Fotografia», con la seguente motivazione, che sembra riassumere il senso di tutta la sua opera: «Fotografo autodidatta che, pur operando in ambito locale e in diversi contrastanti momenti storici, è riuscito ad elevare a storia la microstoria sociale e politica di un ambiente limitato».

Bastianoni si mosse sì in un «ambiente limitato», ma con una tale forza espressiva da offrirci fotografie che hanno superato il contesto in cui sono nate per divenire riferimenti “universali”: è questo il grande fascino e il significato profondo che emana dalla sua opera.

Maria Paola Pampaloni, ricordando la «luce negli occhi intelligenti e saggi» di David, scrisse: «Forse sapeva che qualcosa di lui sarebbe rimasto a tutti noi, a questo paese che ha amato profondamente e alle nuove generazioni».